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Demosofia (Italian)

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16 June 2025

Demosofia (Italian)
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Ceremony, Thenjiwe Niki Nkosl, 2020; Image Credit: PWD; Courtesy of Norval Foundation

Democrazia e filosofia non sono che due aspetti della risposta a una stessa incertezza: quella di un raggruppamento umano che non ha più alcun legame sacro (né naturale, ma in effetti i due si confondono) per riunirsi. Non sarebbe eccessivo accoppiarli per formare demosofia: l’arte o la scienza di discernere il popolo, la sua natura, il suo bene.

Democrazia e filosofia sono un’unica cosa nella misura in cui l’una e l’altra si rapportano essenzialmente a un’assenza di fondamento. La democrazia è la condizione nella quale si trova un gruppo sprovvisto di capo e di legge. La filosofia è la condizione di un pensiero privo di regola.  


In entrambi i casi si tratta di inventare e in entrambi i casi non si tratta di giungere a un risultato definitivo (il che eliminerebbe qualsiasi deliberazione di decisioni e qualsiasi elaborazione di significati. È per questo che democrazia e filosofia appaiono insieme nella storia occidentale, nel momento in cui questa storia si separa da forme sociali e simboliche scosse da profonde trasformazioni. È un’epoca di perdita e di necessità di invenzione. È l’epoca greca, ebraica e romana, e presto anche quella dell’Islam.


Al di fuori di questa storia, si tratta sempre di tutt’altro: le forme di governo e le forme di pensiero traggono le loro risorse da giacimenti di forme e di forze che fanno fruttare straordinarie invenzioni che si ricollegano sempre a un fondo remoto (di miti, di conoscenze, di sistemi simbolici). Sono arti di governo e arti di pensiero, non si tratta della necessità urgente di agire d’astuzia con la precarietà e lo smarrimento. Vi sono culti tradizionali oppure meditazioni e recitazioni, così come re, sacerdoti, sciamani. Un ordine è garantito, una regolarità, un ritmo – con la riserva di una gerarchia irrefutabile.


Al contrario vi è nella democrazia e nella filosofia un odio, un fermento, una voracità da miserabili, mentre negli imperi o nelle tribù vi è una sicurezza, una maestà che attraversano anche la miseria e le tirannie – che non impediscono né le guerre né le conquiste. Allo stesso modo si risveglia in Occidente una logica di produzione e di progresso più che una saggezza di produzione e di conservazione. Si potrebbe affermare che l’Occidente si sia trovato spinto verso lo sviluppo (secondo un modello organico e innovatore) mentre altrove si teneva all’accumulazione (secondo un modello cumulativo e trasmissivo). 


Ma il fermento ha conquistato il mondo quando è diventato tecnologico nel senso del termine che implica di superare l’utilizzo del dato e di forzare gli elementi. La navigazione ne è l’esempio e il simbolo: con il timone unico, già noto nell’antica Cina ma poco utilizzato, in compenso sviluppato e perfezionato nell’Europa del XIII° e XIV° secolo, le navi possono aprire le loro rotte molto meglio e più velocemente attraverso gli oceani. L’utilizzo della polvere da sparo nelle armi da fuoco ha una storia simile. Nell’arco di qualche secolo il sistema tecnologico diventato industriale, manageriale e imprenditoriale ha ampliato la sua rete a tutto il pianeta. Democrazia e filosofia, nella loro intima connessione, hanno fatto parte di questa estensione.                    


Si potrebbe dire che democrazia e filosofia formino una doppia tecnologia della forzatura dell’elemento simbolico. Là dove non vi sia né principio né ordine sacro o naturale occorre inventare la legge stessa, vale a dire tanto il funzionamento del gruppo sociale quanto i fondamenti e/o la finalità di questo funzionamento. Non vi è democrazia se non ci si interroga sulla possibilità stessa della legge, non vi è filosofia senza una pratica della discussione sui principi e i fini. 

 

Platone potrebbe sembrare contraddire questa affermazione, perché si oppone alla democrazia. Ma non lo fa se non in nome di ciò che egli pensa come la verità del popolo riunito nello stato. Si  può  anche  affermare che Platone confermi la simbiosi tra la democrazia e la filosofia come la realtà di un solo processo: quello di conferire senso  e  consistenza all’esistenza che se ne trova sprovvista. Ora l’esistenza è comune – ed è proprio per questa ragione che tutte le culture sono sempre state munite di provvedimenti in vista del mantenimento della prosperità della comunità. 


Democrazia e filosofia non sono che due aspetti della risposta a una stessa incertezza: quella di un raggruppamento umano che non ha più alcun legame sacro (né naturale, ma in effetti i due si confondono) per riunirsi. Non sarebbe eccessivo accoppiarli per formare demosofia: l’arte o la scienza di discernere il popolo, la sua natura, il suo bene. 


Gaza, Palestine; Image credit: Google
Gaza, Palestine; Image credit: Google

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La demosofia avrebbe plasmato l’aspetto politico, giuridico e speculativo dell’impresa tecnologica avviata nel Mediterraneo pre-europeo. Il mondo romano sarebbe stato la sua prima produzione, seguita dall’Europa. 


Che lo sviluppo tecnologico sia stato anche un’impresa di dominio, è fuori di dubbio. La questione non è più oggi di svelare il dominio, ma piuttosto di constatare che la forza dominante ha smarrito la fiducia che essa si attribuiva e che fino a un certo punto tutti gli avevano riconosciuto. La potenza tecnica non ha nulla a che vedere con una capacità di fare il senso dell’esistenza. È per questo che oggi la democrazia e la filosofia, considerate come tecnologie della vita comune, fanno una misera figura.


Eppure questa debolezza notevole non si nota che all’interno delle società sviluppate. Per le altre, l’insieme del relativo benessere occidentale (alimentazione, salute, tempo libero, comfort domestici, mobilità, ecc.) costituisce un modello e un pungolo del desiderio. Ma è proprio il desiderio che inizia ad abbandonare le nazioni sviluppate. Esse divengono coscienti della vanità e anche della vanità di una vita sottomessa a un’enorme macchina tecno-economica che non funziona che per qualcuno che essa arricchisce in maniera esponenziale mentre gli altri possono sempre meno comprendere verso cosa la macchina li trascina. Non è più la gerarchia, è il privilegio della potenza che comanda. 


Dunque la demosofia era la vera promessa del progresso e del suo dominio: si doveva pervenire a un’umanità rinnovata e compiuta, giusta, pacifica e capace  d’altro che non  di  subire  e di soffrire. Ora l’umanità di oggi non fa, nella sua immensa maggioranza, che subire e soffrire. Gli  uni  perché sono palesemente  e crudelmente  privati  dell’agiatezza degli  altri, gli  altri  perché non trovano alcuna forza, alcun impulso vitale nel macchinario gigantesco e incomprensibile che avvelena le loro esistenze per quanto esso pretenda di emanciparli. 


La promessa era falsa – a meno che noi non abbiamo capito nulla, noi altri vecchi demosofi o demosofisti, e che si prepara un’umanità del tutto diversa, che divenga parte integrante del grande macchinario. E ciò, non riusciamo a immaginarcelo. 


Vi è certo sulla terra una grande quantità di esseri umani a cui diverse forme di religione, di credenze, di osservanze rituali, forniscono i punti di riferimento necessari, le forze e gli stimoli senza i quali non si esiste affatto. Che gli dei e gli spiriti di ogni comunità veglino su di essa. Non è tuttavia facile comprendere né soprattutto gestire la compresenza e le interferenze di forme così divergenti, per non dire contrapposte, di risorse esistenziali. 


In realtà, da un lato il demos sembra aver smarrito tutto ciò che poteva dargli forma e consistenza. Dall’altro la sophia sembra trasferita verso un computo generale di algoritmi. Da entrambi i lati la forza del desiderio – che si rivolge sempre verso l’incalcolabile – cede al rigore del calcolo. Eppure, nessuno conosce ciò che si dovrebbe calcolare, se non le stesse capacità di calcolo.


Noi quindi non manterremo il termine «demosofia»: esso non deve servire che a segnalare la promessa abbandonata. La storia moderna dell’umanità, nel momento in cui si rinchiude nella storia di un mondo al tempo stesso intra-connesso e privo di una rappresentazione di sé, ci offre due forme vuote: il «popolo» e il «pensiero». Vale a dire l’esistenza e il senso. Noi sappiamo soltanto una cosa: i due insiemi sono o prossimi a scomparire in un’altra realtà – fatta di popolazioni e di calcoli – o di apparire in una luce del tutto nuova della quale noi non immaginiamo ancora nulla. È per questo che «democrazia» e «filosofia» sono di nuovo il doppio nome, forse anacronistico, di ciò che non può più essere una promessa ma che diviene un’urgenza. 


POST-SCRIPTUM


È tanto meno necessario conservare «demosofia» perchè è indispensabile considerare ciò che resta dopo questa chirurgia sui termini. Resta quest’altro composto: filocrazia. Vale a dire l’amore del potere. Dunque una demosofia  che voglia essere un vero pensiero del popolo, da lui e per lui, dovrebbe prima di tutto avere rispetto per questa filocrazia che è uno dei mezzi più potenti del comportamento umano. Ciò non significa che non sia necessario alcun potere ma che l’amore del potere debba essere controllato, incanalato, formato secondo un altro amore, quello della vita e della parola. Ecco ciò che devono prendere in considerazione insieme democrazia e filosofia.



TRANSLATION

Traduzione di FAUSTO DE PETRA

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